In Toscana si cominciano a vedere i contraccolpi dell’epidemia Covid-19 su una denominazione che ha il suo primo mercato nell’area di produzione e i turisti esteri come clienti principali. Occorrono misure di intervento per le imprese del settore.
Nel cuore della Toscana, in provincia di Siena, l’area dove nasce la Doc Orcia è, in gran parte, iscritta nel patrimonio dell’umanità UNESCO. Questa denominazione è conosciuta come “il vino più bello del mondo” perché si estende su un territorio integro, un capolavoro di bellezza paesaggistica, mantenuto anche dalla mano dei produttori di vino, che purtroppo l’emergenza Covid-19 mette a rischio.
Nell’area di produzione della Doc Orcia ogni anno si registrano quasi un milione e mezzo di presenze turistiche e circa un milione di escursionisti giornalieri attratti dalla magica armonia dei panorami, la ricchezza di piccole città d’arte, dalle acque termali ma soprattutto da cibi e vini di grande storia e qualità. Anche per questo il 65% delle cantine dell’Orcia ha attività di agriturismo o ristorazione e tutte hanno vendita diretta dei vini. Una situazione privilegiata per una giovane DOC che si trovava fino all’emergenza del virus ad avere il mercato di esportazione “sotto casa” per il gran numero di turisti enogastronomici, in maggioranza esteri, che compravano i vini oppure li bevevano nei locali della zona. Una situazione che, con l’epidemia Covid, rischia di trasformarsi da opportunità a grosso rischio. Questo perché esiste il fondato timore che i turisti non arrivino.
«Oggi avere un solo mercato largamente prevalente, quello locale, e una sola tipologia di cliente, il turista, si rivela come un fattore di fragilità per le aziende della Doc Orcia che potrebbero subire maggiori contraccolpi commerciali rispetto alle altre denominazioni toscane – spiega il presidente del Consorzio di tutela, Donatella Cinelli Colombini - infatti per loro si sommano gli effetti della crisi nelle vendite del vino con i mancati introiti per l’affitto di appartamenti e per la ristorazione agrituristica che probabilmente resterà vuota».
I motivi della fragilità e dell’importanza della doc d’Orcia. Non sono il mondo produttivo deve preoccuparsi di questo momento, ma tutto il tessuto paesaggistico e sociale che sta vivendo una situazione di immediato allarme per i suoi effetti economici e sociali ma con possibili contraccolpi successivi più duraturi anche sul patrimonio paesaggistico. Per difendere occupazione, imprese e anche l’integrità di un territorio rurale che deve rimanere tale, è importante che l’azione pubblica di sostegno al sistema economico arrivi tempestivamente e in modo mirato al fine di salvaguardare un territorio che ha trovato nel turismo il suo riscatto e ora rischia, proprio per il turismo, di entrare in una nuova fase depressiva.
Le richieste del Consorzio del vino Orcia alla politica. Il primo pensiero va alla salute e poi all’occupazione al sostegno ai redditi, subito dopo la preoccupazione riguarda le imprese e la protezione del lavoro futuro. Per il vino italiano sono allo studio interventi di sostegno pubblico relativi allo stoccaggio in botte o in bottiglia che potrebbero adattarsi alla Doc Orcia caratterizzata da rossi destinati al medio e lungo invecchiamento. Altre misure auspicabili riguardano premi per la distillazione e la vendemmia verde che, tuttavia, sono praticabili sono tenendo conto del valore dei vini che, nella Doc Orcia, non è certo quello del primo prezzo. E’ da presumere che le cantine stringeranno i denti ma cercheranno di coltivare i vigneti e mettere da parte il vino in vista di una ripartenza nel 2021.
Per il turismo la situazione è diversa perché molte strutture decideranno di rimanere chiuse per evitare di cumulare i costi fissi con quelli del personale a fronte di un business ai minimi termini e di un maggiore rischio per la salute.
Per evitare una prospettiva tragica di povertà e grande disagio sociale è opportuno incentivare le imprese a occupare almeno parte della mano d’opera turistica nelle attività al pubblico o in altre occupazioni riducendo il numero dei disoccupati o dei cassaintegrati e salvaguardando il tessuto di competenze e di professionalità che ha portato al successo il turismo in Valdorcia.
Una prospettiva che può concretizzarsi solo con decisioni governative tempestive perché il turismo viene costruito con mesi di anticipo e quindi prima della fine di maggio per l’estate-autunno 2020. Poi sarà troppo tardi per intercettare la clientela estera con maggiore capacità di spesa e i flussi saranno solo quelli last minute degli italiani che non basteranno per risanare i bilanci soprattutto in presenza delle norme sul distanziamento e i rischi innescati dal considerare il Covid come infortunio sul lavoro.
La Valdorcia ha una prevalenza di turismo estero (dati IRPET 2018 presenze italiane 253.311 presenze straniere 345.559) con tassi del 58% sul totale dei flussi. Meno del Chianti, dove questo indice tocca l’82%, ma comunque abbastanza alto da preoccupare, nelle attuali circostanze. Si tratta infatti di turisti che arrivano prevalentemente in aereo e che quindi saranno particolarmente scoraggiati a viaggiare. Provengono dall’Europa occidentale per il 29,9% e dal Nord America per il 14,9%.
Anche se il turismo non costituisce la maggior parte del PIL dei distretti del vino tuttavia ne occupa una grossissima fetta. Per capirlo prendiamo l’unico dato fornito dal IRPET e relativo al 2015 nei comuni di – Montalcino e Montepulciano cioè in due super denominazioni come sono il Brunello e il Vino Nobile e in un’epoca antecedente al boom della ricettività diffusa. Ebbene il turismo era già il 25% del PIL. C’è da immaginarsi che in aree come l’Orcia, dove vigneti e cantine hanno una storia più breve e una dimensione produttiva più piccola, il turismo sia attualmente il 30% del PIL.
Anche per quanto riguarda gli occupati le percentuali sono così alte da destare allarme: in Valdorcia gli addetti al turismo erano nel 2016 il 33% della forza lavoro ed ora hanno probabilmente una percentuale più alta.
Le 60 cantine della doc Orcia: un patrimonio enologico a rischio. Le aziende produttrici di Orcia DOC sono una sessantina e producono complessivamente meno di 300.000 bottiglie di vino l’anno coltivando 153 ettari di vigneto. Si tratta dunque di imprese piccole o molto piccole, in gran parte a carattere familiare. Si trovano in 12 comuni nell’area collinare fra le denominazioni del Brunello e del Vino Nobile, in una zona di grande vocazione nella produzione di vini rossi da invecchiamento (Buonconvento, Castiglione d’Orcia, Pienza, Radicofani, San Quirico d’Orcia, Trequanda, parte dei territori di Abbadia San Salvatore, Chianciano Terme, Montalcino, San Casciano dei Bagni, Sarteano e Torrita di Siena).