Questa è la più orientale di una serie di valli disposte in parallelo tra le province di Verona e Vicenza. Si snoda tra le Prealpi vicentine a partire dalle Piccole Dolomiti per una trentina di chilometri ed è percorsa da nord a sud dall’omonimo torrente.
Basta raggiungere una posizione elevata per abbracciare con lo sguardo l’intero corso della valle. Oggi il paesaggio si presenta densamente urbanizzato nella parte centrale della valle, stretta e pianeggiante, mentre i versanti collinari sono molto boschivi con isole di prati e piccole coltivazioni. Terreni integri, che non hanno mai conosciuto l’agricoltura intensiva.
In qualità di custodi della Valle dell’Agno, Massimo e Arianna, hanno intrapreso il progetto di studio dei suoli, ottenendo sempre di più la conferma della loro intuizione: l’unicità di questo luogo. In pochissimi chilometri quadrati si ha una grande eterogeneità, il torrente funge da linea di confine tra due aree geologicamente molto diverse.
La Costa Bianca, identifica il versante sinistro della Valle dell’Agno. I suoli di origine calcarea sono costituiti da calcareniti e marne di tipo marino molto ricche di fossili. L’origine geologica di questi suoli prende il nome di Priaboniano proprio dal piccolo paese di Priabona che si trova al centro di quest’ area. I terreni rocciosi sono molto ricchi in argilla, elemento prezioso per la coltivazione della vite su queste colline, e ottimi nutrimenti per le viti a bacca rossa, poiché i suoli di origine calcarea donano una speciale ricchezza di corpo e complessità.
Masari oltre ad essere il nome dell’azienda è anche il nome del primo vino prodotto nonché del primo vigneto lavorato che si trova in questa zona.
Massima caratterizzazione delle potenzialità di questo territorio è MM Montepulgo. Nel nome le due iniziali stanno per Merlot e Montepulgo, il cru dove avviene la selezione nelle annate migliori. Altra purezza è il Pinot Nero San Lorenzo.
Dalla Costa Nera invece hanno origine i vini “vulcanici” dell’azienda. Qui i terreni sono ricchi di basalto e tufo, originati da un esteso comprensorio di vulcani sottomarini che creò la più grande area vulcanica del Triveneto. Il terreno è ricco di preziosi minerali e dona al vino mineralità e grande espressività.
Nascono qui quattro magnifiche espressioni di vino. Leon (nome dedicato al Leone di San Marco simbolo di Venezia) metodo classico pas dosè da uva Durella, affinato tre anni sui lieviti.
Agnobianco (dal nome del torrente), da uve Riesling per il 75% e il restante Durella.
L’elegante purezza di Pinot Costa Nera e l’eccezionale blend di Cabernet Sauvignon e Merlot, San Martino.
Nella Valle dell’Agno ci sono le condizioni ideali per produrre vini ricchi di personalità ed eleganza oltre che per le caratteristiche uniche del suolo, anche per il particolare microclima che si crea: tra l’aria fresca che discende dalle montagne, che rende la zona sempre ben ventilata, e l’azione mitigante del torrente che ottimizza le escursioni termiche.
Questi fattori creano il sottile e imprescindibile equilibrio che porta alla nascita di uve adatte all’appassimento. Per Masari i vini dolci sono molto importanti, simbolo della tradizione veneziana. Nel 1571 con la Battaglia di Lepanto, Venezia perde i possedimenti greci. Fra le passate rovine, tanto grande fu quella di non poter più importare i vini passiti provenienti dalla colonia perduta, che i veneziani iniziarono a produrre autonomamente: il nettare dolce, con le varietà più antiche. I vini passiti prodotti sono due: Doro, il cui nome fa riferimento al nome dell’antica varietà veneta Dorona (probabilmente la Garganega) e al colore dorato del vino; e Antico Pasquale prodotto da sola Durella, così chiamato perché fa riferimento ad un metodo di produzione molto antico, per il quale le uve, prima che vengano pigiate e poste a fermentare per cinque mesi, appassiscono in un ambiente naturalmente areato fino al periodo pasquale, per finire poi l’affinamento in piccole botti per 5 anni. Di un vino, definito Liquore Pasquale, con queste caratteristiche e prodotto nel vicentino si parla nel Il Roccolo ditirambo di Aureliano Acanti, volume edito a Venezia nel 1754.
I 10 ettari sono interamente coltivati con regime biologico, grazie alla presenza vegetativa di boschi e prati; di insetti predatori e impollinatori; di microrganismi indigeni, che vivono in simbiosi con le piante, elementi altamente qualificanti in termini di valore della vita del vigneto e del vino prodotto.
Molto suggestivi sono i ripidi terrazzamenti che solcano i pendii delle montagne. Questi nascono proprio lì dove coltivare la vite non è solo passione ma anche esercizio di grande determinazione e pazienza da costruire giorno per giorno. In alto spiccano le vette, sotto i piedi i dirupi.