Le denominazioni: il vero patrimonio italiano da valorizzare

Pubblicato il 11 dicembre 2017

L’intervista a Bruno Trentini, direttore generale di Cantina di Soave, uno dei principali attori nel territorio veronese a cavallo tra Soave, Valpolicella e Durello

Soave, Valpolicella e Durello sono i segni distintivi di Cantina di Soave.
I 2200 viticoltori, suddivisi tra le tre denominazioni, rappresentano il suo vero valore fondante, fin dal 1898, anno della fondazione. Da quel momento Cantina di Soave ha intrapreso una strada di crescita che le ha permesso di diventare una delle principali e più qualificate realtà del panorama enologico italiano ed internazionale, con oltre il 50% di produzione esportato.
Abbiamo intervistato il direttore generale Bruno Trentini per scoprire con lui la sua personale visione sul futuro della cooperazione italiana, e su quello delle tre denominazioni. E sceglie anche di esprimere la propria opinione sulla delicata questione della recente sentenza “Consorzio della Valpolicella-Famiglie dell’Amarone”.

Secondo Lei qual è il futuro delle cooperative italiane?
Il nostro settore volge sempre più alla prospettiva dei mercati esteri ed è proprio lì che si gioca il suo futuro.
Per far sì che un’azienda lavori bene, non devono essere trascurati a mio avviso questi aspetti: gestione della denominazione, organizzazione aziendale, capacità commerciale e visioni dei mercati.
In Italia, le cooperative partono in vantaggio rispetto alle aziende private per gli aspetti appena citati. Per loro natura infatti, detengono produzione e per questo dovrebbero essere in grado di orientare i loro sforzi alla promozione della denominazione, hanno una dimensione aziendale e ciò permette un dialogo più facile con operatori esteri rispetto ai “piccoli” produttori privati italiani.
Negli ultimi anni molte cooperative stanno mettendo in atto delle aggregazioni che permettono di avere una struttura aziendale di competenze fondamentali per affrontare meglio la sfida dei mercati stranieri.

Qual è la visione dei mercati internazionali di Cantina di Soave e un obiettivo per il futuro?
Per me è fondamentale puntare sulle denominazioni, sulla qualità dei nostri prodotti e soprattutto sul valore del Made in Italy. Il futuro dipenderà da quanto saremo capaci di vendere questi elementi piuttosto che vendere “semplicemente” vino. Non dobbiamo dimenticare che le denominazioni sono un patrimonio che potrà aiutare la generazione futura di viticoltori.

Per quanto riguarda le denominazioni, Cantina di Soave è a metà strada tra le tre grandi denominazioni veronesi: Valpolicella, Soave e Durello.
Cosa pensa degli ultimi fatti legati all’Amarone?
Per quanto riguarda la sentenza di alcune settimane fa nella vertenza Consorzio della Valpolicella-Famiglie dell’Amarone, io mi trovo d’accordo.
Non poteva che essere altrimenti: un gruppo di produttori che rappresenta il 5% che avevano avviato una serie di azioni tese ad identificare la denominazione con il loro 5%. Di fronte a qualsiasi giudizio, ciò non poteva che essere visto per quello che era: un abuso nei confronti del rimanente 95% della denominazione, oltre che azione commercialmente scorretta.
Ciò non deve diventare ora motivo di vendette o rivendicazioni, ma un motivo per ricompattare e dare stabilità alla denominazione per mantenere assoluta eccellenza e privilegio che ha la Valpolicella. Non è venuta per grazia ricevuta, ma è frutto di un grandissimo lavoro e fatica. Nel 2005 abbiamo assorbito la Cantina di Illasi, entrando come attori principali nella denominazione, il Valpolicella costava meno del Soave e un terzo della produzione invenduta. Da sempre cerchiamo, anziché fare speculazione, di dare stabilità alla denominazione e dunque al territorio.

Qual è la sua versione ed opinione sulla denominazione del Soave?
Oggi le cose per il Soave vanno meglio che nel vicino passato. Il consumo è molto stabile, dopo aver sofferto negli ultimi 20 anni prezzi troppo bassi e alta competizione a causa della grande quantità prodotta, superiore a quella consumata.
Da quest’anno, per far fronte ad una produzione molto alta, c’è un elemento nuovo, ovvero il prodotto sarà utilizzato in maniera trasversale anche come Garda Spumante.
Ciò, insieme alla nuova denominazione Pinot Grigio delle Venezie, porterà via quantità di uva al Soave.
150mila quintali di Garganega e dunque du Soave in meno sul mercato permetteranno una produzione più serena senza che nessuno abbia dell’avanzo in casa.

E il Durello?
Per quanto riguarda il Durello, è un bellissimo prodotto utilizzato fino a qualche anno fa solo come prodotto da taglio.
Noi sosteniamo che il Durello meriti una possibilità, aiutato dal trend bollicine. Anche se ha dei grandi competitori italiani e internazionali, ci sono diversi mercati dove il Durello può avere una chance.

I nuovi trend di consumo sui mercati internazionali vi hanno aperto la strada?
I trend si riflettono sui prezzi. Nel 2008 abbiamo incorporato la Cantina di Montecchia di Crosara, sono passati 9 anni e finalmente si vedono i risultati del lavoro fatto: quest’anno i prezzi delle uve di Durello sono raddoppiati rispetto al 2008.

Come lavorate per valorizzare la denominazione?
Valorizzare la denominazione significa prima di tutto suscitare entusiasmo nei viticoltori.
Se guardiamo la produttività ad oggi, siamo passati da 6000 euro ad ettaro a 12000 euro ad ettaro. Questo rende anche loro consapevoli del valore della propria terra. Per noi è importante dare valore al lavoro svolto dai nostri soci. Dove non c’è valorizzazione fatta in vigna, cadono le fondamenta.

 

Agnese Ceschi, Wine Meridian