Una pubblicazione che mette sotto sopra molte delle teorie fino ad oggi accreditate sull’origine della presenza della vite in Italia… e non solo!
Molte teorie del tutto nuove risultano dalla ricerca pubblicata nel volume edito dall’Istituto Geografico Militare “Fra le montagne di Enotria” Forma antica del territorio e paesaggio viticolo in Alta Val d’Agri edito nell’ambito della più ampia ricerca su “l’Enotria, Grumentum e i vini dell’Alta Val d’Agri”. La ricerca è frutto di anni di lavoro ed è stata coordinata da Stefano Del Lungo – archeologo, ricercatore CNR ISPC assieme ad Angelo Raffaele Caputo – agronomo, ricercatore CREA VE. Il Consorzio di Tutela della DOC l’ha promossa nel 2008 e sostenuta con pubblicazioni ad approfondimento monografico, che fossero di base per le aziende e le comunità della DOC nel percorso di riappropriazione, uso sostenibile e valorizzazione di un terroir vitivinicolo.
Ora con questo volume, si completa la raccolta dei risultati.
A seguire le novità più importanti descritte e comprovate nel volume.
- La storia del vino come solitamente viene raccontata con questa ricerca cambia volto e direzione. Non ci sono più i Greci che introducono la viticoltura in Italiama, al contrario, si scopre un’Italia meridionale popolata nell’entroterra da chi sulla viticoltura ha fondato una civiltà. È quel Terzo Centro di Domesticazione e di accumulo delle varietà sviluppatosi nel corso del II millennio a.C., che con dati alla mano smentisce tentativi anche recenti di raccontare che la vite, da Oriente, sarebbe giunta nella penisola dalle Alpi.
- Dai contatti con i Micenei avuti dal XIV secolo a.C. in avanti gli abitanti distribuiti lungo la catena appenninica centro-meridionale si sono evoluti. I loro discendenti sono apparsi progrediti ed esperti viticoltori agli occhi dei coloni greci sbarcati sulle coste ioniche nella seconda metà dell’VIII secolo a.C. L’Odissea conserva ancora la sorpresa e le sensazioni provate da loro nel ritrovare all’altra estremità della rotta verso Occidente, quella «sul mare colore del vino», dei popoli tramandati dalle leggende marinare micenee, pratici nell’estrazione e lavorazione dei metalli così come in agricoltura.
- Scompaiono quindi le immagini care alle narrazioni sinora diffuse sulla storia del vino, con dei civilizzatori greci sprezzanti del pericolo che dominano con la loro superiorità culturale le terre appena conquistate, portando con sé la vite e il vino.
- Al loro posto, mediamente attenti soprattutto a preservare le posizioni assunte sul mare, subentra la concretezza di un processo contrario, con popoli e culture diverse che si incontrano, scambiano piante e informazioni, apprendono, accrescono e affinano la capacità di allevare la vite, di selezionarla e di produrre vino.
- Lungo i principali fiumi lucani si snodano alcuni percorsi tratturali che, procedendo controcorrente, permettono di raggiungere parti dell’entroterra ben lontane dalla costa. Riproducendo il cammino intrapreso dai più ardimentosi coloni siriti (da Siris, presso Policoro) e poi sibariti (da Sibari), l’Agri viene risalito a ritroso dalla foce alla sorgente, raggiungendo le terre vitate della parte più alta (da cui il nome della DOC).
- Nel volume si raccolgono e rielaborano i rsultati dell’intera ricerca. Seguendo la sola modalità possibile per ricostruire realmente un terroir, le indagini pedologiche e ambientali condotte nell’alta e media valle, gli esami ampelografici e le analisi genetico-molecolari interagiscono con le Scienze Storiche, Archeologiche ed Antropologiche, dal periodo miceneo all’età romana, e pongono in relazione paesaggi viticoli, forma del territorio, varietà, vigneti, palmenti e grotte-cantina, concentrate soprattutto nella porzione intermedia e finale del fiume. L’obiettivo comune è rendere consapevole un più vasto pubblico sul patrimonio di biodiversità viticola, di diversità paesaggistica e culturale e di potenzialità produttiva di un terroir, con una definizione varietale dei vitigni autoctoni (ad esempio Giosana, Iusana o Zimellone bianco, Malvasia ad acino piccolo, Aglianico bianco o Ghiandara, Colatammurro, con l’aggiunta di Santa Sofia e Plavina, da fuori regione ma ugualmente tradizionali nonostante le apparenze) molto più accurata e il loro rientro in produzione dietro conferma del buon esito delle vinificazioni sperimentali.
- Il risultato complessivo è la creazione di una trama portante di nuovi concetti, fondati sull’esegesi critica delle fonti testuali, sui riscontri archeologici e sull’intreccio dei dati genetico-storici. La loro riscoperta rinnova sia la considerazione sconcertata degli autori classici sulla difficoltà di identificarli e descriverli tutti sia la fama raggiunta ben presto, accomunati entro l’etichetta di Lucanum testimoniata da Catone il Censore agli inizi del II secolo a.C.
C’è voluto un team di tutto rispetto per raggiungere risultati così importanti e dargli solidità:
ANTONIO AFFUSO, archeologo, specializzato in Preistoria - VITTORIO ALBA, ricercatore agronomo del CREA (VE) – ANGELO RAFFAELE CAPUTO, ricercatore agronomo del CREA (VE) – TEODORA CICCHELLI, archeologa, specializzata sull’Età Classica - PASQUALE CIRIGLIANO, ricercatore agronomo del CREA (VE) – MARICA GASPARRO, ricercatrice biologa del CREA (VE)
DORANGELA GRAZIANO, laureata in Gestione e Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario - AGATA MAGGIO, demoetnoantropologa e biblioteconoma del CNR (ISPC) – FRANCESCO MAZZONE, enologo del CREA (VE) – ADDOLORATA PREITE, archeologa, specializzata in Preistoria e Protostoria - SABINO ROCCOTELLI, perito agrario (viticoltura ed enologia) del CREA (VE) – ANNARITA SANNAZZARO, archeologa del CNR (ISPC).
Ora è tempo di comunicare questi sviluppi della ricerca e dargli la diffusione che meritano anni di studio e lavoro di tanti professionisti, oltre che l’importante sforzo fatto dal Consorzio di Tutela DOC Terre dell’Alta Val d’Agri perché l’intera impresa fosse portata a compimento, dal 2008 ad oggi.
www.terredellaltavaldagri.it