Dalla pace di Montenidoli, “monte dei piccoli nidi”, sui colli che coronano San Gimignano, Sergio Muratori – patriarca, intellettuale, poeta e compagno di vita di quella gran donna di cuore che è Elisabetta Fagiuoli – il 19 ottobre scorso è volato fino alle “sue” montagne per assaporarne l’aria pura e il riposo dei giusti.
Dopo 87 anni vissuti intensamente, Sergio è tornato per sempre ad Acceglio in Val Maria, valle alpina in provincia di Cuneo, dove ancora si parla occitano, definita per la prima volta come lingua romanza da Dante. E alla sua antica lingua occitanaprovenzale, che narra di masche, streghe buone, e di sarvan, strani personaggi in parte uomini e in parte animali, che animano i boschi e allietavano o spaventavano le lunghe sere invernali che gli abitanti delle borgate passavano insieme nelle stalle per rigenerarsi dal freddo e dal duro lavoro, Sergio, discendente di un’antichissima famiglia medievale di notai, era molto attaccato. Firmandosi Sergio D’Asej, scriveva le sue poesie dove capitava, senza curarsi del loro destino. Sempre inediti i suoi racconti, conditi dalla sua multiforme cultura. Da bambino il suo papà lo chiamava “il testacchione” per i suoi ragionamenti e la sua fantasia, da cui scaturivano favole per i ragazzetti, che, con lui, andavano in paese per la scuola. Corriere e staffetta tra i partigiani e suo padre, che era capo centrale, ha contribuito al salvataggio delle tre centrali elettriche della Val Maira, ma le schegge di una bomba lo hanno privato dell’occhio destro, penetrandogli in tutto il corpo, dove sono rimaste fino alla fine dei suoi giorni. Le montagne erano “sue” perchè ne conosceva tutte le rocce, i laghi e le sorgenti, i sentieri e i valichi più nascosti.
Aveva scortato oltre il confine chi ne aveva bisogno nei tempi duri. È diventato una guida d’eccezione per i vacanzieri nei tempi di pace. È stato un punto di riferimento per molti e a ogni persona che incontrava non risparmiava la sua attenzione e, se necessario, il suo aiuto. Il suo prossimo gli era sacro e preferiva subire un torto in silenzio, piuttosto che creare tensioni o litigi. A ventun’anni, finite le magistrali a Mondovì e studente all’università di Torino, è stato chiamato a insegnare nella sua vallata. Spesso i suoi allievi dovevano accontentarsi delle elementari e allora sapeva arricchirli anche di nozioni delle scuole superiori. A Genova poi, all’Embriaco, le sue classi erano per i ricchi di Carignano e per i poveri di via Madre di Dio, che, con lui, diventavano veri compagni e amici di vita. Aveva scritto: “Non sono mai stato un maestro, ma ho amato andare coi bimbi a scoprire il mondo”. Senza mai voler apparire, è stato il capostipite che ha dato nuova vita a Montenidoli, terra già coltivata dagli Etruschi, dai Romani e dai Cavalieri Templari, arrivando qui nel 1965 con Elisabetta e nove bambini: “Siamo venuti a chinarci su questa terra, a interrogarla e ogni giorno continuiamo a scoprire le sue ricchezze, anche l’abbandono che ha subito è stato un gran privilegio, favorendo i microrganismi che hanno creato una meravigliosa complessità, ma non venimmo qua per il vino, ma per occuparci di bambini difficili e diseredati”. Col suo amore e la sua fatica ha risvegliato i campi abbandonati, le viti e gli olivi, ormai sepolti dai rovi, ma ha voluto restare nell’ombra, lasciando a Elisabetta e a tutto il suo entusiasmo il compito di portare per il mondo il vino di Montenidoli. Sergio è stato, è e sarà la grande quercia di calore, di forza e di coraggio per tutti quelli che hanno lavorato, lavorano e lavoreranno per Montenidoli.
Caro Sergio, sali tranquillo ai tuoi monti, su Elisabetta vigileranno le imponenti statue di pietra del Triassico. Addio Patriarca, che la terra, che hai tanto amato, Ti sia lieve. Il tuo spirito è rimasto qui a Montenidoli, perché Tu sei Montenidoli. Cara Elisabetta, continua serena l’opera, ora Sergio, che tanto hai amato e curato, è nelle dolci mani delle Tue Madonne degli amati maestri trecenteschi dei fondi oro senesi.
Andrea Cappelli