Il MOI Omakase di Prato è il miglior sushi d’Italia per la La Guida de L’Espresso

Pubblicato il 16 dicembre 2024

Il MOI Omakase di Francesco Preite a Prato, unico itamae italiano con esperienze fra grandi maestri giapponesi, entra in guida Michelin e riceve il premio Miglior locale etnico 2025 da La Guida de L’Espresso

Con una determinazione e una maestria che intreccia cultura e cucina, Moi Omakase, il ristorante che ha saputo riscrivere i codici della gastronomia etnica con eleganza e profondità, celebra uno straordinario 2024 di successi. Tra premi autorevoli e riconoscimenti prestigiosi, il locale si conferma interprete di spicco nel panorama gastronomico italiano.
Per il ristorante di Francesco Preite, l’anno che volge al termine è stato un susseguirsi di importanti attestati di merito, come l’ingresso in Guida Michelin, in cui si assimila l’esperienza a “… un viaggio nella cultura gastronomica giapponese, senza spostarvi dall’Italia!”. E infatti siamo a Prato ed è curioso che uno dei migliori omakase giapponesi del nostro Paese sia ubicato nella città in cui risiede la comunità cinese più popolosa, dopo Chinatown a Milano.
E ancora, Miglior locale etnico 2025 per la Guida de L’Espresso, che conferma i tre cappelli con un punteggio di 17/20 assegnato da Andrea Grignaffini e Alberto Cauzzi, insieme alla rinnovata attribuzione dei tre mappamondi da parte della guida del Gambero Rosso. Senza tralasciare il primo posto fra i 10 Migliori Sushi nella 50 Top Italy dell’anno in corso, che non pubblicherà la sezione dei ristoranti nipponici nel 2025.
È sempre un grande piacere quando partecipo alle premiazioni incontrare colleghi provenienti da città importanti – afferma Francesco Preite – e per me, arrivare da Prato, è motivo di grande orgoglio. Perché penso di aver contribuito, nel mio piccolo, a renderla anche una meta gastronomica, come riportato ultimamente da diverse autorevoli testate. Credo che i miei progressi come ristoratore, abbiano in parte contribuito a valorizzare il panorama culinario della città. Vederla guadagnare una posizione di spicco nel mondo della gastronomia è per me una grande soddisfazione e continuerò a impegnarmi affinché questa crescita sia sempre più significativa e duratura.
Unico chef e patron italiano a gestire un omakase, Preite sta raggiungendo il traguardo dei venticinque anni di spola fra l’Italia e il Giappone, contabilizzando ben 73 viaggi per stage e studio presso anziani maestri come Okamoto San a Tokyo “dove ho iniziato negli anni 2000 come semplice garzone – specifica – mentre nel 2005 sono stato aiuto di Sotou San a Tsukiji, nel distretto del quartiere di Chūō sempre nella capitale nipponica”.
Nel 2009 la decisione di aprire nella sua città la prima versione di Moi, con una proposta di sushi classica, per farla evolvere dopo otto anni nella formula omakase, termine traducibile in “fai tu“, perché il vero estimatore del sushi non sceglie mai alla carta, ma si affida totalmente al maestro itamae, che prepara i piatti a vista, dietro un bancone a cui siede un numero ridotto di ospiti. Per l’esattezza da Moi sono dieci, a cui si chiede di arrivare tutti alle ventuno, per un percorso di diciotto assaggi al buio. Generalmente l’avvio è affidato a un brodo caldo, come la zuppa di miso e rana pescatrice, con alga kelp e cipolle verdi. Per poi proseguire fra ricciole, branzini di Porto Santo Stefano, carbonari d’Alaska, storioni bianchi, capesante di Hokkaido, con varie tipologie di salsa di soia artigianali e non pastorizzate, gari (lo zenzero in salamoia) preparato personalmente dallo chef e il wasabi fresco, grattugiato al momento con l’apposita oroshigane in pelle di squalo.
Alcuni piatti che si arricchiscono di qualche digressione toscana a cui viene conferita ancora maggior personalità, ma senza scalfire l’estetica gustativa originale giapponese. Con un pairing di vini, spesso naturali e sake, curato dallo stesso Preite, che ha ottenuto qualche anno fa anche la qualifica di sommelier.
La cena è caratterizzata da una diffusa informalità, costruita sui racconti relativi alla cultura giapponese che lo chef ha acquisito in anni di viaggi, che innescano anche una piacevole dose di convivialità tra gli ospiti. In uno spazio con vista sul suggestivo Castello dell’Imperatore che si scorge dalle grandi vetrate e con arredi minimal-zen nei toni neutri del legno di cipresso che sfumano verso il grigio dei divani della zona living.