Fico d’India dell’Etna DOP: il frutto del futuro

Pubblicato il 26 ottobre 2022

Lo chiamiamo erroneamente fico d’India, per via di Cristoforo Colombo che credette di avere scoperto le Indie, ma dovremmo nominarlo d’America dato che è originario del centro America. Nome a parte il fico, l’Opuntia ficus indica, in Sicilia ai piedi del vulcano ha trovato il suo habitat naturale idoneo allo sviluppo e alla crescita, rendendo unico il paesaggio al punto di essere diventato un simbolo di questa terra.

È un concentrato di proprietà benefiche, è dolce, energetico ma al contempo a basso contenuto calorico; è indiscutibilmente una coltura sostenibile, basti pensare che per la produzione di un frutto occorre un quarto d’acqua rispetto alla coltivazione di una mela.

Solitamente siamo abituati a vederlo, con le sue caratteristiche piante, ai bordi delle strade, come divisorio degli appezzamenti di terreno, allo stato puro e selvatico. In realtà esiste una vera e propria coltivazione che vede il suo principio nelle talee dalle quali si ottengono piante uguali alle madri che nel tempo sono state selezionate per avere le migliori varietà di frutto. È importante diversificare e rigenerare vecchi impianti che dopo circa 15 anni vengono sostituiti per dar spazio a nuovi filari di piante giovani.

Indispensabile per la resa del prodotto finale è il suolo ricco e fertile dei territori che ricadono nell’area della DOP dell’Etna, i Comuni di Adrano, Biancavilla, Belpasso, Paternò, Motta Sant’Anastasia, Santa Maria di Licodia, che per le particolari condizioni pedoclimatiche, danno vita a frutti ricchissimi sia in termini di gusto che di proprietà nutritive.

Appartenendo alla famiglia delle piante del deserto il fico qui si è adattato a terreni aridi, e richiede scarse risorse idriche. I moderni impianti di irrigazione infatti riducono gli sprechi, essendo utilizzati solo in periodi particolarmente secchi. Inoltre le piante assorbono importanti quantità di anidride carbonica.

Per evitare di ricorrere a pesticidi dannosi per la salute e l’ambiente, si ricorre a trappole ad ormoni per le mosche, alla lotta integrata o alle aree in biologiche. La coltivazione viene scandita dai ritmi della natura, ai quali si combinano tecniche tradizionali che migliorano notevolmente la qualità e la bontà dei frutti. Parliamo nello specifico del diradamento, tecnica che consiste nell’alleggerire le talee della pianta da alcuni dei frutti ancora piccoli e verdi che crescono tra maggio e giugno, in seguito alla prima fioritura. Questa tecnica, effettuata manualmente da personale esperto, garantisce frutti più ricchi di sostanze nutritive e più grandi di dimensioni.

Un’altra tecnica è la scozzolatura, che consiste nel far cadere dalla pianta tutti i piccoli frutti nati in seguito alla prima fioritura, per stimolare la pianta e dar vita così una seconda fioritura, che produce verso la metà di settembre frutti più grandi con meno semi e molto succosi. I fichi d’India colti dopo la prima fioritura, tra agosto e settembre, vengono detti nostrani o primo fiore, quelli nati dalla scozzolatura, colti tra settembre ottobre e inizio novembre, vengono detti scozzolati o bastardoni.

Pur essendo una coltura che cresce e si propaga persino sulle rocce laviche più scoscese, per garantire frutti di qualità necessita di molta cura e mano d’opera, dalle varie tecniche di coltivazione fino alla raccolta che viene effettuata manualmente da operatori esperti e ben equipaggiati. Bisogna dunque avere dedizione, pazienza e una buona conoscenza della pianta.

Una volta raccolto il fico viene portato nello stabilimento di lavorazione per completare la filiera fino al confezionamento del prodotto. Il frutto non viene trattato con nessun agente chimico, viene solo despinato attraverso un sistema di spazzole rotanti, per poi essere selezionato, calibrato e confezionato. Anche il packaging ha una sua importanza, motivo per cui è fondamentale combinare confezioni pratiche di diverso formato, a un design accattivante, e soprattutto realizzate con materiali 100% riciclabili.

Negli ultimi anni si è assistito ad una crescita incredibile non solo del consumo da parte dei clienti, ma anche della conoscenza e della valorizzazione di questo incredibile prodotto. Ne è una dimostrazione il primo marchio creato appositamente per il fico d’India che nasce dalla terra, dall’aria e dal fuoco di Sicilia.

 

Tre sono le varietà della DOP. La Gialla, o Sulfarina, è la varietà più diffusa, caratterizzata da frutti che presentano una buccia gialla con screziature verdi, ed una polpa morbida di un intenso color giallo-arancio, dolce e succulenta. La Rossa, o Sanguigna, è molto popolare e apprezzata, soprattutto per il suo intenso color rubino che cattura l’occhio ancora prima che il palato. La sua polpa friabile, zuccherina e succosa contiene meno semi rispetto alle altre varietà. La Bianca, o Muscaredda, è la varietà più pregiata. Il colore verde chiaro della sua buccia viene spesso percepito come indice di scarsa maturazione, ma non lo è affatto! Non lasciatevi ingannare dal colore meno sgargiante; all’interno troverete infatti un frutto chiaro dalla polpa croccante, fresca e dal sapore dolce e delicato.

Il fico d’India è un prodotto dalle molteplici proprietà, ricco di vitamine A, gruppo B e C, sali minerali (ferro, potassio, magnesio, calcio e fosforo). L’alto contenuto di fibre e la presenza dei semi aiutano a favorire il transito intestinale e ad aumentare il senso di sazietà, rendendolo alleato per il mantenimento del peso-forma anche grazie alla modesta quantità di zuccheri. Inoltre è ricco di proprietà terapeutiche in particolare quelle antinfiammatorie e antiossidanti contenute nelle betalaine e betaxantine del suo interno.

Curiosità: della pianta del fico d’India non si butta via nulla. E’ una coltivazione a “spreco zero” visto che può essere mangiata sia la buccia del frutto che le pale (cladodi) della pianta, ricche di proprietà cicatrizzanti e lenitive, adatte anche a diverse preparazioni in cucina.

Si utilizza anche il fiore essiccato per la preparazione di infusi depurativi, così come i semi da cui deriva uno degli oli più pregiati al mondo e impiegato principalmente in ambito cosmetico.

Fabrizio Salce