Il paesaggio, sublimazione iconica del concetto di territorio, è anche un genere pittorico. Gli storici dell’arte ne indagano l’origine nell’insieme decorativo, che accompagnava le figurazioni di tradizione occidentale. Man mano, acquista autonomia e valore, fino a conquistarsi una regione propria, nel fare artistico, e comportarsi come soggetto della creazione umana, capace di contenuti oltre il visibile. Il paesaggio, in questo senso, è il mutuare dalla realtà al suo modello, in un processo di mimesi in cui l’assenza delle parole risuona, come un’eco appena avvertita. Nell’osservare quel che ci circonda, come nel trasferirlo su tela o in scatto fotografico, si deposita come una pellicola ispessita di vernici odorose, processo memorabile.
Un tramonto con rovine classiche allude a baccanali in essere, proprio oltre l’ombra bruna che si libera dagli ocra in primo piano. Un cielo turgido cela l’approssimarsi della vendemmia, mentre, in altri confini ritagliati, si ode il clangore sopito d’una battaglia appena conclusa.
Abbiamo voluto molto paesaggio nelle pagine di questa nostra rivista, da cui scaturiscono grandi vini, “nature morte” palpabili e rubizze, volti soddisfatti di fare il proprio lavoro e di assaporarne frutti e aromi. Mani solide, al pari di tavolozze, che, in luogo di pigmenti, trattengono segnali di terre.
I colori si sa, provengono dalla terra e lo sono a loro volta, ora in superficie, poi in profondità: semi in attesa di germoglio e, dal profondo e dalle radici, salgono le essenze, fino a lambire il cielo, dove e quando vogliono, dove e quando preferiscono, nel miracolo ciclico dell’esistenza.
La vita è un mistero che si nutre di colori e sapori, dei profumi di un chicco tramutato in nettare, di una semola che conquista altre forme e si modella nell’immaginazione manuale e sapiente.
La vita domanda di essere indagata e condivisa. Colta, come un frutto maturo.
Abbiamo pensato che una rivista sia ancora un buon modo. Così come ci sembra capace di trasmettere quel che, da sola, il fruscio della carta sfogliata non potrebbe, altrimenti.
Negli scatti densi e oggettivi di Bruno Bruchi, s’invera l’ideale di una poetica illuminata, che propone l’uomo al centro, foriera di quelle occasioni proposte dalla Natura nel suo muliebre manifesto.
Spinti da passioni affini e amicizia di lungo corso, ognuno di noi ci ha messo del suo, l’esperienza nel settore di Andrea Cappelli e tutti gli amici che hanno desiderato seguirci in questa godibile avventura.
In fondo, ogni cenacolo e convivio e micro redazione raccoglie l’essenza di menti tese a un orizzonte lontano, quanto a piacere si voglia immaginarlo, tanto da avvertire l’ignoto e, al tempo stesso, aria di casa.
Oinos è la dimora sensoriale e quotidiana dell’approccio all’esperienza dell’amor proprio, intesa come accoglienza molteplice delle produzioni agroalimentari, che si fa percorso di pura conoscenza e bellezza.
L’editore Mario Papalini