Il traghetto si avvicina all’arcipelago, la brezza del mare penetra nei polmoni e i raggi del sole accarezzano le isole donando loro una sembianza tale da rasserenare l’anima. Ci sto tornando, ancora, e il pensiero vola alla prima volta che respirai quest’aria e godetti di tanta bellezza. Mi tornano in mente i volti delle persone che conobbi e con le quali ebbi la possibilità di condividere momenti bellissimi. I colori, i profumi e i sapori, le uve poste sui graticci ad appassire, i capperi nel sale e il duro lavoro delle persone. Poi ci furono altri viaggi, di lavoro e di piacere, e ogni volta che ho rimesso piede a Salina, a Vulcano, a Lipari, ne sono sempre rimasto incantato. Si amici cari, sto parlando delle isole Eolie, sette gemme che da millenni incantano gli uomini insidiandosi nei loro cuori.
Ci sto tornando ancora per lavoro, per ritrovare ciò che già ho visto e conoscere nuove sfumature, per riassaporare i piatti e i vini, per rivedere panorami e scorci unici, per rivivere lo splendore del creato e la grandezza del Creatore. Chi non prova emozioni di fronte a certi anfratti naturali dubito che possa comprendere i veri valori della vita.
Il vino di queste isole ha una storia antichissima, impossibile da raccontare in poche righe perché non menziono qualche secolo ma millenni. Sono gli scavi archeologi che ce lo dicono, a Salina e a Filicudi sono infatti stati ritrovati vinaccioli bruciati di vitis vinifera risalenti ad almeno 4000 anni fa.
Mancano Alicudi, Panarea e Stromboli in questo mio racconto per completare l’arcipelago, così come manca il termine Malvasia: il vino eoliano di sempre. E’ per lui che sto tornando, per riassaporarne in parte la lunga storia e per gustarne le ultime produzioni.
Fin dal basso Medioevo, secondo le testimonianze, l’attività economica di queste terre emerse risultava florida anche se, per quanto riguarda gli ormai famosi vigneti di Salina, non particolarmente organizzata. Le incursioni dei pirati e l’assenza di difese architettoniche rendevano l’isola ottimale per l’agricoltura in genere ma non per la vita della popolazione.
Si dovette attendere molto tempo prima che lo sviluppo enologico eoliano arrivasse al punto più alto della scalata. Fu infatti nell’800 che la produzione di Malvasia dolce ebbe maggiore risonanza e ciò avvenne grazie alla presenza di migliaia di soldati inglesi di stanza a Messina pronti a fronteggiare l’eventuale avanzata delle truppe napoleoniche.
Ma al volgere del secolo successe l’imprevisto: la fillossera invase l’Europa e distrusse i vigneti. Speranze, lavoro, sogni andarono in frantumi obbligando tanti salinari ad emigrare oltre oceano. Ma perché ho scritto Malvasia dolce? Andiamo con ordine riassumendo alcuni concetti.
Se andiamo a ritroso nel tempo comprendiamo che dal Trecento e per almeno tre secoli i vini che arrivavano sulle tavole occidentali erano di provenienza greca, anzi, di un’isola della Grecia: Monembasia. Non vi racconto di come il nome sia stato trasformato, soprattutto dai mercanti veneziani, ma vi ricordo che tutti quei vini erano denominati Malvasie. Alcuni li chiamavano Malvagie altri più genericamente vini greci.
Di fatto sta che proprio a Venezia le Malvasie erano anche le osterie, quelle che oggi ai nostri tempi chiamiamo Bacari. Ma non solo a Venezia, storia analoga la troviamo nella Firenze di allora con gli scritti e le menzioni in materia del Boccaccio. Nei secoli a venire tra guerre, invasioni, emigrazioni e concessioni vescovili alle Eolie, e in particolare a Salina, giunsero gruppi famigliari da altre terre che misero in pratica la coltivazione del cappero e posero a dimora i primi filari di Malvasia.
Quando parliamo di uva Malvasia teniamo conto del fatto che in Italia ne esistono di svariare tipologie: quella lunga, rosa, nera e con denominazioni legate ai territori: una ventina circa. Dolce perché a Salina da allora l’uva viene vendemmiata e posta sui graticci ad appassire e dalla spremitura se ne ottiene un vino delizioso, dolce e delicato, fine ed armonico tanto amato dagli inglesi e conosciuto in tutto il mondo.
Ma da alcuni anni i produttori locali, e di loro tra breve vi dirò alcune cose interessanti, hanno iniziato a produrre la Malvasia secca con ottimi risultati. Vini freschi, piacevoli che accompagnano la cucina isolana, soprattutto i piatti a base di pesce, ma allo stesso tempo ottimali come aperitivo o più semplicemente per un momento gioviale da condividere con della buona compagnia.
I produttori sono in parte autoctoni e in parte arrivati da fuori, dalla Sicilia ma anche dal nord Italia e dall’estero, così come tra i gruppi famigliari dei secoli scorsi ci furono molti veneti. Sono piccole cantine, parliamo di pochi ettari vitati, ma tutte con la loro storia e la loro atmosfera. Tra gli autoctoni c’è chi è giunto alla quarta generazione e tra i nordici chi ha contribuito alla rinascita dell’enologia eoliana già a cavallo tra gli anni 50 e 60 del secolo scorso. Rinascita vera e propria dopo i decenni post fillossera.
Ci sto tornando per vivere di persona la decima edizione del Malvasia Day, organizzato dal Consorzio di tutela della Malvasia, e le 12 cantine che vi partecipano: Punta Aria di Vulcano, Tenuta di Castellaro di Lipari e poi Tasca d’Almerita, Colosi, Caravaglio, Eolia, Fenech, Virgona, Barone di Villagrande e Hauner di Salina.
Alcune le conosco e avrò il piacere di ritrovare persone amiche e volti cari, le altre le scoprirò seguendo un percorso determinato in modo tale da potere dialogare con i produttori, indigeni e non, e abbracciare i loro vini. Ma sarà anche un piacere ascoltare i racconti dello storico Marcello Sajia: è grazie ai suoi scritti che ho appreso tante notizie meravigliose sulle isole.
E poi ritroverò i capperi e cucunci che tanto amo, le ricette della tradizione come il pane eoliano, i piatti di pesce e di verdure il tutto abbinato alle Malvasie secche. La cucina eolina affonda la sua anima nella terra, nel mare e nel sole, è variegata e insaporita da mille espressioni che ne testimoniano la lunga storia.
Ci sono tornato. L’ho fatto e in tutta sincerità me la sono gustata. E’ vero che ho lavorato per la TV, per la radio, per scattare qualche foto e scrivere queste poche righe, ma è anche vero che ho bevuto vini veramente interessanti, Malvasie che si distinguono soprattutto per la facilità della beva.
Vini di grande qualità e ricchi di diversità, ognuno con espressioni e caratteristiche differenti dovute alle condizioni pedoclimatiche e dei terreni. La viticultura eoliana è indubbiamente eroica costituita da tanta fatica, ma al tempo stesso arricchita dal terroir vulcanico e dalle varietà che ben si sposano donando un vero mix di interpretazioni.
Ci sono tornato, e spero tanto di farlo ancora perché, e questo ve lo dico a cuore aperto, le Eolie o Lipari sono isole dalla bellezza unica che meritano assolutamente una visita al fine di comprendere sempre di più quanto sia bella la nostra Italia. Per la sistemazione potete spaziare dal B&B ai luoghi di charme, dalla trattoria al ristorante stellato, ma potrete soprattutto gustare i sapori uniti al fascino indimenticabile della natura.
Fabrizio Salce