Di rado mi reco a Montecitorio, per quanto abiti a Roma e, da giornalista di quotidiano, mi occupi di argomenti pertinenti all’edificio. Confesso di sfuggire le visite al palazzo. Faccio però un’eccezione annuale: un particolare premio destinato ai giovani ricercatori in viticoltura, che ha il patrocinio della Camera dei Deputati e che quest’anno ha anche assegnato due medaglie da parte del Presidente della Repubblica: ai primi due classificati del premio, cioè il Dr. Di Gennaro e la D.ssa Pusceddu.
Mi riferisco al “Premio Internazionale Brunello di Montalcino Case Basse Soldera”. Chi mi conosce bene sa che l’elogio non è la prima delle mie inclinazioni (tantomeno è la quarta o quinta) e dunque vorrei cogliere l’occasione non tanto per elogiare l’opera annosa e tenace di Gianfranco Soldera (avendo pure lui uno spazio in questa rivista), che è attestata da personalità più autorevoli della mia (vedi ad esempio Mario Fregoni), quanto per parlare delle ricerche trascelte e presentate. Premetto che, Gianfranco mi perdonerà la provocazione, forse bisognerebbe rinominare il premio: dato che l’azienda Case Basse non produce più Brunello, ma solo IGT, che, come appare evidente anche nelle ultime annate (2007 e 2008) da me di recente assaggiate e non da molto imbottigliate, è il migliore IGT d’Italia, oltre a essere il migliore Brunello non Brunello al mondo.
Quanto alle ricerche: il Dr. Salvatore di Gennaro del CNR di Firenze, assieme all’Università di Perugia, ha studiato gli effetti del “global warming” sulla vigna, attraverso un sistema integrato di telerilevamento da drone e monitoraggio prossimale del vigneto, al fine di descrivere le dinamiche termiche del grappolo. Osservando gli effetti del riscaldamento globale sulla concentrazione degli zuccheri, e dunque sull’alcol dei vini, che negli ultimi anni riesce davvero poco armonico al mio palato, che si sottopone al Sangiovese. Quindi si è osservato il disaccoppiamento fra maturità fenologica e zuccherina, l’innalzamento del pH e l’abbassamento dell’acidità, i grappoli più scottati e le fasi fenologiche, oltre che le vendemmie anticipate. Pertanto si sono considerate le differenze, fondamentali, fra i grappoli a basso vigore esposti al sole e quelli ombreggiati, rilevando quanto lavoro si possa e debba ancora fare nella gestione della chioma. Infine si è ricordata l’importanza dei cloni di Sangiovese, a oggi davvero poco studiati. Nel futuro si confronteranno i dati delle micro-vinificazioni per constatare l’impatto di vigoria e ombreggiamento sui vini. Aspettiamo fiduciosi, nel frattempo continueremo ad assaggiare marmellate di ciliegie sotto spirito con quasi 15 gradi. La D.ssa Emanuela Pusceddu del CNR-Inimet di Firenze ha studiato la tracciabilità del vino mediante quantificazione e identificazione neutronica di atomi lantanidi, grazie alle apparecchiature presenti al Rutherford Appleton Laboratory vicino a Oxford, dove c’è un reattore di neutroni. In pratica siamo vicini a una tracciabilità totale del prodotto vino per mezzo della diffrazione da neutroni, che permette di correlare il vino all’area specifica di produzione. I neutroni sono una sonda fantastica e vedono tutto, qualsiasi elemento della tavola periodica degli elementi (chimici) e soprattutto non sono invasivi, cioè non danneggiano il prodotto. Lo spettro di diffrazione diventa dunque un’impronta digitale di quello che c’è dentro il materiale di studio. Prima di oggi si era arrivati solo a macro-differenziazioni regionali, ma, da oggi, si cominceranno a valutare le micro-differenze, studiate identificando elementi presenti nei minerali specifici di una vigna o parcella. Dunque si può congetturare un’imminente associazione del vino al suolo d’origine, avendo a disposizione uno strumento formidabile per contrastare truffe, frodi e falsificazioni.
Il Dr. Yuri Romboli dell’Università di Firenze ha analizzato la variabilità del profilo antocianinico dei vini da Sangiovese, soprattutto Brunello. Un argomento in cui eccelle la sezione di Microbiologia del prof. Massimo Vincenzini, che ha già ampiamente dimostrato che gli antociani possono rappresentare uno strumento per la distinzione varietale delle cultivar e dunque per una valevole verifica della “purezza” di un vino monovarietale. In questo caso si è approfondita la plasticità fenotipica dell’uva Sangiovese, analizzando come il contenuto di antociani, per quanto relativamente stabile all’interno di una singola cultivar, possa essere fortemente infl uenzato dalle condizioni climatiche dell’annata e dunque possa variare. Un passo verso il perfezionamento di un metodo importante.
Alberto Cigolini dell’Università di Brescia ha studiato il mercato finale del Brunello di Montalcino, intervistando gli attori della filiera, a cominciare dall’Italia e dalle enoteche, dove più della metà delle bottiglie vendute (56,2%) va dai 15 ai 35 euro, il 23,9% dai 35 ai 50 euro e il 19% oltre i 50 euro. Nel canale GDO, che (come hanno mostrato altre ricerche) non fa affatto concorrenza alle enoteche, il prezzo a cui i buyers acquistano il Brunello è intorno ai 10euro+IVA e non supera mai i 19euro+IVA, mentre il prezzo di vendita è fra i 20 euro (a cui si vende il 30% delle bottiglie) e i 30 euro ed è, secondo molti degli intervistati, il canale con miglior rapporto qualità-prezzo. Un’affermazione che però imporrebbe anche di trovare altri intervistati “tipo”, dato che molti lettori della rivista sui cui è pubblicato questo pezzo sarebbero in disaccordo. A ogni modo, le interviste ai produttori hanno portato alla luce i prezzi a cui il cliente finale paga il Brunello. In Italia quasi la metà (47,4%) delle bottiglie di Brunello vendute arriva a costare fino a 25 euro. Il 34,2% costa dai 25 ai 45 euro, poi un 11,7% va dai 45 ai 70 euro e un 6,7% è oltre i 70 euro. All’estero la situazione ovviamente rincara e si ha un 45,7% fino a 35 euro, poi un 14% dai 60 ai 90 euro e un 1,2% oltre i 90 euro. Dalle interviste è emersa la mancanza di un commercio elettronico dei vini, che aiuterebbe le vendite, ma che in Italia scarseggia, dato che nove pagamenti su dieci avvengono ancora in contanti.
Claudia Ferretti del Centro Studi Assaggiatori di Brescia ha analizzato l’andamento e il profilo sensoriale di vini rossi importanti e giovani dopo l’apertura della bottiglia, cioè l’evoluzione sensoriale del vino fino a 144 ore dall’apertura. Ha rilevato dunque che i vini importanti (vedi un grande Barolo o un grande Brunello o meglio IGT) evolvono in modo diverso dai vini giovani (vini da vitigni meno nobili, non concepiti per maturare fra gli scaffali del supermercato): a esempio, il sentore fl oreale, nei vini importanti, aumenta con le ore di apertura, il che avviene in modo meno marcato nei vini giovani, che risentono molto prima delle percezioni di ossidato. Insomma, niente che ci sorprenda davvero. Giuseppe Mazza del centro di Ricerca in Agrobiologia e Pedologia di Firenze ha studiato l’impatto sulla viticoltura toscana (in specie a Montalcino) della Drosophila suzukii, un moscerino fitofago del sud-est asiatico, che depone sui frutti sani prima della vendemmia e che in Usa è stimato minaccia “ineradicabile” per l’agricoltura, data la sua grande capacità dispersiva e la sua ampia polifagia. Difatti infesta diversi frutti, sia coltivati che spontanei. Ebbene questo moscerino, “importato” in Italia da qualche anno attraverso i commerci di frutta, è presente in Toscana, ma ancora non pare costituire una minaccia per la viticoltura. Meglio comunque tenere gli occhi aperti, come sta facendo questo studio.