Il “Premio Speciale della Giuria” ricevuto a Roma durante la celebrazione degli “Oscar del Vino”, evento glamour con regia di Franco Ricci, patron della Fondazione Italiana Sommelier e di Bibenda, ha sinceramente commosso Jacopo Biondi Santi, che s’appresta a traghettare la prestigiosa tenuta “Il Greppo“ nel suo terzo secolo di vita, tenendo salda l’eredità enologica familiare, con uno stile classico senza tempo.
Un premio, consegnato a conclusione di tutte le premiazioni, che Jacopo ha voluto dedicare alla famiglia: “Mi ha gratificato in pieno, è una gran soddisfazione ricevere il premio di una delle manifestazioni più belle ed eleganti del mondo enoico perché rappresenta il raggiungimento di un traguardo, il riconoscimento per il lavoro svolto in tutti questi anni e la consacrazione della filosofia che ha caratterizzato il lavoro della mia famiglia e il mio sia a Montalcino che a Scansano, le due aziende che oggi sono una sola: il massimo dell’innovazione, coniugato col massimo della tradizione”. Infatti l’Oscar dei sommelier italiani vuole ricordare il ruolo di Jacopo Biondi Santi in entrambe le sue aziende, quella storicissima di Montalcino, dove nell’Ottocento è nato il Brunello e la tenuta di Montepò, uno straordinario castello con 50 ettari di vigne nel cuore del territorio del Morellino di Scansano, dove si è concentrato a creare vini dallo stile moderno: “Piantare, anche a Montepò, gli stessi cloni di Sangiovese BBS11 che abbiamo a Montalcino mi ha permesso di dimostrare che una diversificazione del prodotto finale è possibile anche senza un uso diverso di tecniche di cantina. La differenza nasce dal territorio, dalla diversità di clima, altitudini e composizione dei terreni, in pratica si sostanzia con le microzone”. Tra l’altro ricevi questo importante riconoscimento proprio nell’anno di una splendida vendemmia, che riscatta quella dello scorso anno, quando hai deciso addirittura di non produrre Brunello… “Sarà un millesimo che starà ai vertici delle nostre grandissime riserve, ai livelli del 1955 e del 1975. Sembra davvero avere tutti i crismi per essere un’annata da ricordare, c’è un’uva pazzesca e le analisi lo confermano, tra l’altro, da quando sono al timone del Greppo, anche la vendemmia è sempre meno empirica e più di stampo scientifico, per esempio faccio fare tre volte alla settimana le analisi di tutte le caratteristiche dell’uva dall’istituto di San Michele all’Adige, che è leader nel settore. Comunque sostanzialmente al Greppo non cambierà niente né come tipizzazione, né come orientamento, la tradizione rimane anche perché sono duecento anni che ci sta dando ragione a livello commerciale. E per fortuna ci sono sempre più collezionisti nel mondo che vogliono le nostre antiche riserve”. Quali sono le tue annate del cuore? “C’è una piccola differenza tra me e mio padre Franco, ne discutevamo sempre, anche se sono piccoli dettagli, comunque lui prediligeva le nostre riserve nella finezza e nell’eleganza, per esempio amava molto il 1970 e l’1982, mentre io ho sempre avuto un orientamento di palato su qualcosa di un po’ più potente, certo l’eleganza piace naturalmente anche a me, ma supportata da una struttura più importante, preferisco il 1971 e il 1983”. Erede di una famiglia che ha dato davvero tanto a Montalcino e al suo territorio sia in termini di popolarità che soprattutto in campo scientifico, attraverso studi e sperimentazioni, Jacopo vuole ricordare con affetto il nonno Tancredi, che negli anni Cinquanta, col Paese appena uscito dalla tragedia di due Guerre Mondiali durate un trentennio e la viticoltura toscana molto malmessa, lancia le basi di una nuova era del vino italiano, portando avanti, in un periodo particolarmente difficile, una filosofia che ha fatto la fortuna della cantina Biondi Santi e del Brunello di Montalcino: “Quando mi hanno consegnato il premio ho rivisto mio nonno che mi portava in cantina, a cui sono stato molto legato. Quando Tancredi è scomparso nel luglio del 1970 avevo già vent’anni e fortunatamente il nonno ha avuto il tempo di insegnarmi tutto quello che dovevo sapere sul Brunello del Greppo. Era un uomo forse un po’ introverso, non molto espansivo, ma di grande equilibrio, grande bontà e grande professionalità. Ed era un personaggio elegante, con uno stile molto british, non l’ho mai visto andare in cantina senza la giacca, era una forma di rispetto nei confronti del vino. Addirittura mi hanno raccontato che quando sono nato, essendo mia madre totalmente astemia, Tancredi, preoccupatissimo che il rappresentante della sesta generazione dei Biondi Santi fosse astemio, cominciò a darmi da subito qualche goccia di vino e poi, quando avevo sette-otto anni, dava dei soldi al fattore perché mi facesse far merenda con pane, prosciutto e un po’ di vino. Ho sempre avuto un bel rapporto con lui, mi ha abituato fin da giovanissimo alla vita di vigna e cantina, alle vendemmie e alle vinificazioni, insegnandomi a fare gli innesti a spacco e a potare come faceva Ferruccio. In cantina mi ha fatto fare tutte le operazioni, che allora venivano eseguite solo manualmente, partendo dalle torchiature, le follature a mano dei tini di legno, che a quei tempi erano aperti, mi ha fatto pompare tanto con le pompe a mano in cui si stava sopra in piedi, imbottigliare con una vecchia imbottigliatrice dei primi del Novecento, che aveva quattro beccucci e c’era la persona seduta sopra che metteva sotto le bottiglie e infine tappare con una tappatrice sempre rigorosamente a mano. Quando ebbi circa 16 anni mio nonno iniziò a coinvolgermi direttamente in tutte la attività decisionali di cantina insieme a mio padre, assaggiavamo tutti e tre insieme i vini durante l’affinamento, decidendo se declassare o fare la riserva. L’ultimo grande ricordo che ho di mio nonno Tancredi è la storica ricolmatura delle sue vecchie bottiglie del Brunello riserva 1888, 1891, 1925 e 1945 fatta in cantina al Greppo nel marzo 1970 alla presenza di Mario Soldati e Luigi Veronelli: con quella cerimonia chiuse degnamente la sua lunga carriera di esperto enologo, confermando la supremazia, la diversità e la tipicità del Brunello del Greppo. Tancredi mi ha sempre fatto sentire che la discendenza doveva continuare con me e in futuro coi miei figli, sempre nel segno della tradizione esasperata e così anche mio padre Franco, che, quando da giovane ebbi l’idea di importare in Europa i primi windsurf, mi disse di no e che dovevo pensare solo al Brunello, al quale ero predestinato”. Con tuo padre hai collaborato a stretto contatto per oltre quarant’anni, dal 1970 all’ aprile 2013, quando purtroppo è venuto a mancare… “Mio padre, per darmi basi solide, mi ha fatto fare tutta la filiera dei lavori vitivinicoli, da trattorista per gli scassi dei vigneti, a potatore e sfemminellatore in vigna, alla gestione dell’uva all’arrivo in cantina, a organizzatore della rete commerciale sia in Italia che all’estero per poi pian piano coinvolgermi fin nelle decisioni più delicate, cioè l’assaggio finale dei vini per decidere la loro destinazione. Mio padre ha trascorso la sua lunga vita, come prima di lui tutti i suoi avi, col preciso obiettivo di passare il testimone a me e di conseguenza ai suoi nipoti, che continueranno le attività vitivinicole d’eccellenza e le ricerche scientifiche che in casa Biondi Santi proseguono ininterrottamente da oltre duecento anni, ben sette generazioni coi miei figli. E sapendo che questa sua volontà non verrà tradita è spirato sereno e tranquillo, certo che il marchio Biondi Santi è saldamente in mano alla famiglia”. Perciò questo grande riconoscimento degli oltre 40mila sommelier italiani è il coronamento di una vita passata in cantina… “Diciamo che io in cantina ci sono praticamente nato, la cosa mi ha molto onorato e, fatto per me insolito, mi sono pure commosso, dedicandolo ai miei figli Tancredi, Clemente e Clio perché la tradizione deve continuare con loro, che, come tradizione in casa Biondi Santi, già hanno iniziato a fare la gavetta in vigna e in cantina”.