In 650 tra ristoratori, enotecari e sommelier per la “prima” dell’Alta Langa: il grande incontro a Grinzane Cavour con tutti i produttori e lo stato dell’arte di una denominazione in crescita
La prima dell’Alta Langa
Un debutto in società, un’occasione che promette di restare negli annali della denominazione: l’Alta Langa Docg diventa grande e per la prima volta decide di raccontarsi in un evento diretto in particolare ai ristoratori, agli enotecari, ai sommelier del Nord Ovest.
Per farlo, il Consorzio ha organizzato ieri, lunedì 12 marzo, al Castello di Grinzane Cavour una “prima” dell’Alta Langa.
Riuniti in una sola, grande degustazione, tutti i produttori con le loro cuvée. Le case storiche che hanno dato vita al progetto Alta Langa ormai tre decadi fa (Enrico Serafino, Fontanafredda, Gancia, Giulio Cocchi, Tosti, Banfi) ma anche i produttori che hanno unito le forze in questi anni contribuendo con il loro lavoro a strutturare sempre di più la denominazione (Avezza, Bera, Paolo Berutti, Brandini, Bretta Rossa, Colombo Cascina Pastori, Roberto Garbarino, Germano Ettore, Giribaldi, Pianbello). E non sono mancate le novità: l’anteprima delle cuvée dei nuovi soci Contratto e Marcalberto.
Un’iniziativa evidentemente attesa e accolta con grande entusiasmo e partecipazione, che ha portato a Grinzane circa 650 addetti ai lavori da Piemonte, Lombardia, Liguria e Val d’Aosta per poter degustare più di 40 differenti cuvée tra bollicine bianche, rosate, riserve, grandi formati.
La denominazione oggi
L’Alta Langa Docg esiste formalmente da 16 anni, ma storicamente da un secolo e mezzo.
“Nasciamo come un gruppo di viticoltori e di case produttrici che stringono un patto per rivalutare uno dei vini più storici del Piemonte – ricorda il presidente del Consorzio Giulio Bava – e un territorio molto vocato e carico di fascino. La sfida era darsi le regole per fare grande il metodo classico piemontese, partendo dal territorio e dal metodo di produzione. Le capacità in vigna e in cantina erano consolidate ma mancava un indirizzo produttivo che desse riconoscibilità al vino e alla sua immagine. Si è partiti da un approfondito studio del territorio, dei terreni e delle esposizioni sperimentando una ventina di cloni di Pinot nero e Chardonnay sulle colline tra Monferrato e Langa. Una ricerca che ha portato a impiantare 40 ettari di vigneto e a produrre migliaia di ettolitri di vino e bottiglie per dieci anni, fino ad arrivare, nel 2002, ad avere le basi scientifiche per porre le regole di un disciplinare di produzione molto rigoroso”.
Il territorio scelto alla luce della sperimentazione si colloca a cavallo di tre province ed è rappresentato dalle colline al di sopra dei 250 metri. “Pur avendo terreni simili – precisa il presidente Bava – la zona esclude il territorio dei grandi Nebbioli dove le uve maturano molto per le caratteristiche dei vini base spumante”.
Terreni principalmente calcarei, bianchi, poco argillosi, con esposizioni diverse a seconda delle altitudini.
Una vigna di Alta Langa, finché è tale, può produrre solo Alta Langa e i suoi vini non possono essere riclassificati ad altre produzioni. I viticoltori quindi sono i primi a dover produrre qualità, altrimenti le uve perdono quasi tutto il loro valore.
L’uva è raccolta a mano in casse, per una resa che in cantina non raggiunge il 65 % in mosto.
A differenza degli altri grandi territori degli spumanti di qualità, uno degli aspetti più importanti della denominazione è che non prevede una cuvée d’ingresso ma solo millesimati.
Alta Langa è un vino di grande longevità, che si valorizza nel tempo e con l’affinamento sui lieviti. Per lo Champagne sono necessari 12 mesi di affinamento per le cuvée d’ingresso, 18 mesi sono richiesti per il Franciacorta: l’Alta Langa prevede, per le sue cuvée più giovani, minimo 30 mesi di affinamento.
Gli enologi sono dunque impegnati a produrre una qualità tale che duri nel tempo perché non esiste paracadute per chi sbaglia.
Anche per questo “l’Alta Langa è tutto buono!”, come ripete spesso Giulio Bava.
Un nuovo logo per il Consorzio Alta Langa
Bollicine che raccontano un territorio. Questo il senso espresso nel logo che il Consorzio presenta ufficialmente oggi e sintetizza i valori distintivi del vino Alta Langa.
Oggi più che mai il Consorzio sta riscoprendo quei valori primigeni e caricandoli di nuovi, pregnanti significati.
Fin dai suoi esordi, Alta Langa è stato frutto di un accordo basato su un concetto fondamentale, la centralità del territorio: il terroir più adatto per la crescita delle uve migliori, la regione storica in cui è nato lo spumante italiano, la base di partenza per la promozione e la valorizzazione del vino.
Adesso questo primo punto di forza viene rinnovato nel “Patto con la Terra”, il progetto di studio e ricerca che il Consorzio sta mettendo a punto con Piercarlo Grimaldi (Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo), per difendere le radici storiche e antropologiche delle alte terre di Langa.
Un racconto che si snoda tra le bollicine fresche, sapide e longeve di un vino e allo stesso tempo un vino capace di mostrare la bellezza abbagliante della nostra collina alta. L’identità e l’impegno del Consorzio sono rappresentati nel segno grafico di questo logo.
Il patto con la terra
“Il patto stipulato con la terra che impegna il Consorzio a custodire il territorio che i nostri antenati ci hanno consegnato con altruistico e generoso amore deve essere a fondamento di uno ereditato sviluppo antropico educato e civile che nel passato riconosce le ragioni logiche e affettive per progettare il futuro”. A dirlo è Piercarlo Grimaldi, Università degli Studi di Scienze Gastronomiche.
“Occorre, dunque, impegnarsi a recuperare i gesti e le parole che ancora conservano la memoria attiva della tradizione – continua Grimaldi -. Si tratta di un lavoro di ricerca che deve riportare alla luce le forme e le pratiche del mondo contadino. I saperi di un passato che hanno sempre dialogato con la natura in un quadro di reciproco rispetto tra terra e uomo. È questa l’eredità materiale e immateriale che il Consorzio vuole contribuire a raccogliere e conservare per testimoniare la profonda conoscenza di queste colline che oggi si presentano con due destini a volte contrapposti. La campagna delle terre basse ha conosciuto uno sviluppo che non sempre armonicamente si e integrato nel paesaggio, originando una traiettoria spazio-temporale che ha abbandonato la circolarità del tempo della tradizione, per rappresentarsi come un retta che non conosce più il saggio e mitologico tempo dell’eterno ritorno che, invece, si conserva sulle terre alte”.
Il primo metodo classico italiano
“Quello piemontese è il primo metodo classico italiano – spiega Alessandro Picchi, presidente di Gancia -. Già dall’inizio dell’800, i conti di Sambuy, influenzati dalla vicinanza geografica con la Francia e con le sue produzioni vinicole, diedero inizio in Piemonte alla coltivazione di alcuni vitigni francesi – Pinot Nero e Chardonnay in particolare – per produrre vini spumanti sul modello di quelli della Champagne.
Dopo gli studi di enologia, nel 1848 Carlo Gancia era partito per Reims con l’obiettivo di apprendere i segreti della produzione dello Champagne. Una volta rientrato a casa aveva avviato insieme al fratello Edoardo una piccola attività, dove aveva iniziato la produzione del primo spumante italiano utilizzando le tecniche di lavorazione del metodo “champenoise”. La produzione era iniziata con le uve moscato, tipiche della sua zona d’origine, e nel 1865 uscì lo “Spumante Italiano”, il primo Metodo Classico fermentato in bottiglia. Nel 1850, convinto che il suolo piemontese fosse ottimale per la coltivazione e la produzione di uve da spumante, Gancia iniziò un periodo di intenso lavoro e sperimentazione, coltivando Pinot Nero e Chardonnay soprattutto nella zona di Canelli: questa attività di ricerca, mirata alla selezione delle migliori uve per prodotti di prestigio, è stata la base e la spinta per la successiva sperimentazione della produzione di quella che oggi conosciamo come “Alta Langa Docg”. Presto arrivò anche il primo spumante Metodo Classico secco – da uve di Pinot nero e Chardonnay appunto – e il successo della Gancia”.
Dice l’assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte Giorgio Ferrero: “Rilanciare la storia e la tradizione dello spumante piemontese metodo classico, una tradizione sicuramente limitata nei numeri ma seria e significativa nella qualità, è uno dei grandi meriti del Consorzio Alta Langa. Oggi il Piemonte può vantare tra le sue eccellenze uno spumante che completa il ventaglio delle nostre ricchezze enologiche. Una impresa che è stata giocata con professionalità e passione dai vignaioli e dalle case spumantiere che ci hanno creduto e che ora cominciano a raccogliere i frutti meritati del loro lavoro”.
I numeri dell’Alta Langa
L’Alta Langa è un vino che non permette speculazioni né tantomeno numeri giganti: tutto parte dal vigneto, comanda il vigneto.
Oggi i soci del Consorzio sono esattamente 100: 75 famiglie di viticoltori, 18 i produttori che già producono e vendono Alta Langa, altri sette che stanno per uscire con le loro cuvée entro un anno, per un totale di 25.
Il vigneto cresce nelle superfici in modo regolato: 40 ettari originali provenienti dalla sperimentazione ai quali si sono aggiunti nel tempo nuovi impianti per arrivare al dato aggiornato a oggi di 217 ettari di vigneto suddiviso in 100 ettari in provincia di Asti, 100 in provincia di Cuneo e 17 in provincia di Alessandria. Sono il risultato di una crescita ordinata e condivisa; alcuni vigneti sono giovani e non sono ancora in produzione, tant’è che nella scorsa vendemmia (peraltro molto scarsa) sono stati prodotti 1.200.000 chilogrammi di uva, pari a 1.000.000 di bottiglie.
Con i nuovi impianti in produzione e con quelli previsti nei prossimi due anni si avrà un vigneto totale di 350 ettari, pienamente produttivo in cinque anni.