Il MOI Omakase di Francesco Preite a Prato, unico gestito in toto da un itamae italiano raggiunge il primo posto della classifica 50 Top Italy – I Migliori Sushi 2024
MOI Omakase di Francesco Preite è il miglior sushi d’Italia, per 50 Top Italy, la guida online del meglio del Made in Italy, nel nostro paese e nel mondo, a cura di Barbara Guerra, Luciano Pignataro e Albert Sapere. Che consegneranno il premio all’unico itamae italiano al Gran Galà della Cucina Italiana che si terrà a al Teatro San Babila di Milano martedì 12 dicembre, insieme ai numeri uno delle altre categorie e ai 50 Migliori Ristoranti Italiani nel Mondo.
Per MOI, quello che si sta per concludere, è stato un anno costellato di riconoscimenti, i tre cappelli con 17/20 di punteggio per Le Guide de L’Espresso, dei nuovi curatori Andrea Grignaffini e Alberto Cauzzi, il premio, per il secondo anno consecutivo, migliore carta dei vini di ristorante etnico in Italia per la Milano Wine Week e la conferma dei tre mappamondi della guida del Gambero Rosso.
“Questo premio - dichiara Francesco Preite - è come la tessera di un puzzle a completamento di un 2023 che mi ha reso molto orgoglioso e immensamente grato a tutti coloro che hanno contribuito a far arrivare MOI fin qui. Per questo ci tengo a ringraziare tutto il mio staff, i clienti che arrivano da tutta Italia, e sono sempre più abituali, e tutti coloro che ci hanno manifestato importanti attestati di stima per il lavoro svolto.”
Dieci sedute al bancone, venti assaggi al buio, fra nigiri, brodo di vongole e sake, manzo di kobe in pairing con vini naturali e sake. Questo è MOI omakase dello chef e patron Francesco Preite, a Prato. Unico in Italia gestito in toto da un italiano con una passione smisurata per la cucina nipponica e attenzione parossistica alla qualità dell’ingrediente.
Un amore incondizionato per il Giappone che lo ha portato a compiere 72 viaggi nella terra del Sol Levante in circa 20 anni, per passione ma soprattutto per lavoro.
Facendo stage e periodi di studio e pratica accanto a itamae di altissimo livello.
È del 2009 l’apertura del primo MOI, con una proposta classica di sushi, locale che ebbe anche il ruolo di innescatore della rivitalizzazione di via Verdi. Otto anni dopo, Preite decide di evolvere la formula nel rito della creazione dei piatti davanti ai clienti, seduti di fronte a un bancone che diviene proscenio di una preparazione dall’allure teatrale. Clienti che non sono a conoscenza di quello che andranno a gustare. Il significato di Omakaseè infatti un sorta di “fai tu“ in giapponese, ad esprimere la totale fiducia nel maestro che sta dall’altra parte del banco. Perché il vero estimatore del sushi non sceglie mai dalla carta, ma si affida all’itamae e raramente è presente il menu nei sushi bar nipponici.
Al MOI gli ospiti arrivano tutti insieme e l’inizio dell’unico turno è alle ventuno, per un percorso di 18 portate, che generalmente si avvia con un brodo caldo e poi si snoda fra ricciole, branzini di Porto Santo Stefano, carbonari d’Alaska, storioni bianchi, capesante di Hokkaido, con varie tipologie di salsa di soia artigianali e non pastorizzate, gari (lo zenzero in salamoia) preparato personalmente dallo chef e il wasabi fresco, grattugiato al momento con l’apposita oroshigane in pelle di squalo. E alcune portate che si arricchiscono di qualche inflessione toscana a cui viene conferita ancora maggior personalità, ma senza scalfire l’estetica gustativa originale giapponese.
Riguardo gli aspetti logistici, è evidente che al momento della prenotazione si richiede di comunicare gli ingredienti che non sono di gradimento o ancor più che sono eventualmente poco tollerati per motivi di salute.
Pensando alla precisione e al livello di concentrazione che vengono richieste al maestro, alla sua lunghissima formazione, non si esagera se si assimila questo lavoro a una forma d’arte, che al MOI di Prato si declina all’affabilità tipicamente italiana. La serata scorre avvolta in una generosa dose di convivialità fra i commensali, si chiacchiera, si ascoltano gli aneddoti e le storie di Francesco sulla cultura giapponese, e non solo, acquisite in anni di viaggi.
In un ambiente di una eleganza essenziale e accogliente, legno naturale e dai toni neutri, ampie vetrate che proiettano all’interno le torri del Castello dell’Imperatore, lì fuori a pochi passi, che trasmette il senso di intimità di una casa. Il bancone è il protagonista dello spazio, in essenza di cipresso riprende la struttura in legno delle chaise longue e dei divani dell’area salotto, in una palette di colori che dal beige sfuma nel grigio, in uno stile minimal zen che si concede solo il vezzo di qualche linea in stile ottocentesco.