La Maremma, che è stata una terra dura, bonificata solo nella prima metà dell’Ottocento dai Lorena, Granduchi di Toscana, è oggi rinomata meta enogastronomica, un angolo di Toscana dall’atmosfera ancora ruspante e campagnola. Tra i prodotti più conosciuti, che hanno avuto negli ultimi anni un ruolo determinante nella sua rinascita sia culturale che economica, un posto di rilievo va sicuramente al Morellino di Scansano, una porzione d’alta Maremma interna, la cui storia è quella della fatica e del sacrificio delle persone che hanno combattuto contro una natura avversa per strappare il minimo per la propria sopravvivenza. E anche la storia dell’avventura enologica di Simone Castelli al Podere 414, situato nel comune di Magliano in Toscana, per la precisione alle pendici del borgo di Montiano, in zona Maiano-Lavacchio, al chilometro 14 della strada provinciale 79, s’intreccia con questa realtà: “La verità è che tutto inizia con una passeggiata per le campagne della Maremma alla ricerca di un luogo dove far un buon vino: alla fine della giornata, anche un pò scoraggiato, m’imbatto in questo Podere 414, che è il numero che l’ex-ente di riforma fondiaria, lo storico Ente Maremma, ha attribuito, durante gli anni Cinquanta, all’azienda che ho poi acquistato da una famiglia abruzzese. Allora avveniva il frazionamento del latifondo e la redistribuzione dei terreni, da esso derivanti, alle famiglie coltivatrici, che hanno ereditato un comprensorio assolutamente selvaggio e incontaminato, fatto prevalentemente di boschi e pascoli.
Queste famiglie, adottando un modello agricolo di quasi esclusivo sostentamento, ci hanno lasciato in eredità un territorio praticamente inalterato, caratterizzato da scarsissima antropizzazione, mantenimento del paesaggio originario, bassissimo impatto ambientale da parte delle attività economiche, tanto da far indicare alla Comunità Europea la ‘Maremma Grossetana’, assieme alla Provenza e al Nord della Scozia, come una delle oasi più vicine all’ideale di preservazione naturale di un distretto rurale in tutto il continente”. Simone Castelli – figlio d’arte dell’enologo Maurizio, che vanta quarant’anni di professione e successi – una laurea in Agraria alle spalle, ha una gran passione per la mountain bike e per il rugby, avendo giocato nella durissima serie C, militando nel “Rugby Grosseto” e proprio con la passione del rugbista si è buttato nel mondo del vino: “La proprietà si sviluppa su 49 ettari, inizialmente esistevano solo circa due ettari di vecchia vigna, poi, nel corso di cinque anni, siamo arrivati a occupare l’attuale superficie di 13 ettari coltivati a vigneto e una decina di nuovi impianti,
in conduzione biologica nel pieno rispetto dell’ambiente.
Data la giovane costituzione dell’azienda, ho potuto organizzare gli impianti secondo i canoni che impone un modello di produzione qualitativa, introducendo alte densità – circa 6.700 ceppi a ettaro – e studiando varietà e biotipi ritenuti particolarmente idonei alle condizioni pedoclimatiche specifiche della zona. Nei miei vigneti, che distano solo 20 kilometri in linea d’aria dal mare, le uve di Sangiovese maturano più in fretta, rispetto a quelli dietro i colli di Scansano, ma il vino non prende in sapidità, non arriva il sale. Qui si possono produrre anche vini eccezionali, ma ci si deve lavorare molto, è necessario investire in vigna sulla conoscenza delle proprie uve e sulla tecnologia in cantina, dove bisogna passare molto tempo per capir bene come trattare il sangiovese, senza snaturarlo, poiché è la nostra base.
Purtroppo spesso in questa parte di Toscana ci siamo occupati più del mercato che non del prodotto”. E siccome a Simone le sfide piacciono dure e intense, come una “mischia chiusa”, lui di prodotti ne fa solo uno, ma con gran cura e questa è stata la strada verso il successo: “Penso che questa scelta etica ed emotiva di produrre un solo vino debba essere interpretata dal consumatore come un messaggio di serietà e correttezza, come l’intento, da parte di un’azienda dalle dimensioni artigianali come la mia – circa 100mila bottiglie annue – di non disperdere le proprie energie alla ricerca di soluzioni commerciali a effetto, bensì dedicare tutti gli sforzi e far convergere ogni attenzione alla realizzazione e cura di un unico Morellino. In secondo luogo, non me la sono sentita di fare un secondo vino perchè, ogni volta che andavo a distrarre uve dalla base, mi sentivo di impoverirla”.
Il cognome certo ha aiutato Simone Castelli a farsi conoscere sul mercato, che per il 70% è Italia e per il restante 30% Germania, Svizzera e Inghilterra, ma sono il sacrificio personale e l’esperienza maturata a ripagarlo.
La base del Morellino di Scansano Podere 414 è naturalmente costituita dall’85% di Sangiovese, che viene accompagnato dal 5% di Ciliegiolo, vitigno autoctono particolarmente prezioso nel conferire freschezza, frutto e una certa “modernità”, senza dover coinvolgere vitigni internazionali, dal 4% di Alicante ad alberello, atto a impartire un’impronta marcatamente mediterranea, calda, alcolica, speziata e intensa, e dal 3% di Colorino, come coadiuvante nel corredo polifenolico dei precedenti, nonché piccole introduzioni di altri vitigni a bacca nera, tali da contribuire alla complessità fi nale del vino. La vinificazione avviene con metodologia tradizionale in cemento e piccoli tinelli troncoconici di legno, i lieviti sono autoctoni, 20/25 i lunghi giorni di macerazione sulle bucce e frequenti rimontaggi. Questo vino per i tre quarti affina per 12 mesi in botti di piccola dimensione e per la rimanenza in barriques di secondo e terzo passaggio e tonneaux nuove. Il Morellino podere 414, la cui prima annata di produzione fu il 1998, porta infatti in sé tutta la territorialità e il calore della Maremma, è generoso nel colore, negli aromi, nel corpo e si presta molto bene ad accompagnare carni rosse o cacciagione, penso al mitico cinghiale di razza maremmana… Alla fine questo Morellino rispecchia un pò il carattere di Simone, è un vino vero, con un prezzo accessibile, da bere senza eccessi di cerimonia, ma con una tavola ben imbandita e una buona compagnia di amici.
Andrea Cappelli