La scoperta di pollini di vite negli strati archeologici più antichi conferma che alle Colombare di Villa, Negrar di Valpolicella (VR), si consumava l’uva già 6.300 anni fa. I risultati sono frutto della ricerca di un team internazionale coordinato dall’Università degli Studi di Milano.
L’uva più antica della Valpolicella ha 6.300 anni e proviene dal sito preistorico delle Colombare di Villa, Negrar di Valpolicella (VR), abitato tra il Neolitico e l’età del bronzo.
Questi i risultati più significativi tra quelli emersi dalle campagne di scavo condotte dal Dipartimento di beni culturali e ambientali dell’Università degli Studi di Milano, in accordo e collaborazione con la Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, svoltesi sotto la direzione scientifica di Umberto Tecchiati, professore di Preistoria ed Ecologia preistorica all’ateneo milanese. La ricerca, iniziata nel 2019 e giunta ormai al suo terzo anno, si svolge con il supporto del Comune di Negrar di Valpolicella ed è stata possibile grazie alla campagna di campionamenti organizzata e finanziata, nell’autunno del 2020, dalla Soprintendenza di Verona nel sito di Colombare di Villa.
Il rinvenimento di pollini di vite e vinaccioli negli strati archeologici più antichi ha confermato che la pianta, seppur probabilmente allo stato selvatico, doveva essere accudita in quest’area dei Monti Lessini già 6.300 anni fa, nel Neolitico recente.
Sono stati prelevati dagli strati archeologici diversi tipi di campioni: di terreno, di ossa animali, di micro e macroresti vegetali. Le ricerche palinologiche, archeobotaniche e archeozoologiche confermano che il sito delle Colombare di Villa fosse abitato da contadini, che qui coltivavano cereali e allevavano animali domestici. Per ottenere ulteriori conferme sulla eventuale continuità delle attività produttive nel corso dei millenni – la Valpolicella è attualmente uno dei comparti vitivinicoli più importanti del nostro Paese – lo staff di scavo ha intenzione di proseguire le analisi di laboratorio, stavolta soprattutto sui resti dei contenitori ceramici, alla ricerca di tracce di vino. La vinificazione, infatti, era possibile già nella Preistoria, ma la conferma che nel sito delle Colombare l’uva sicuramente consumata fosse anche trasformata in vino sarà possibile solo con il proseguimento della campagna.
I risultati emersi dalle ultime analisi di laboratorio si sono aggiunti a quelli provenienti dallo scavo stratigrafico e dai rilievi topografici svolti durante la campagna di scavo 2021, conclusasi il 1 ottobre dopo sei settimane di ricerche, confermando la frequentazione del sito per un periodo lunghissimo, di circa 3.000 anni, e ribadendo la fondamentale importanza per il territorio dei Lessini del centro produttivo, allora come oggi.
Per le analisi di laboratorio, l’Università Statale ha potuto contare sul laboratorio di radiocarbonio BRAVHO del gruppo di ricerca dell’Università di Bologna (team coordinato da Sahra Talamo, docente di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali) per il pretrattamento dei campioni di ossa archeologiche per le analisi al radiocarbonio e sull’AMS di Mannhein per le datazioni, e sul Laboratorio di tossicologia forense dell’Università degli Studi di Milano coordinato da Marica Orioli, docente di Chimica Farmaceutica, che ha fornito il proprio supporto per le analisi del terreno. La ricerca palinologica è stata condotta dal team del Laboratorio di Palinologia e Paleobotanica coordinato da Anna Maria Mercuri, docente di Botanica Sistematica, dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.
Come già accaduto dal 2019 al 2021, anche le prossime ricerche saranno dirette sul campo dal professor Tecchiati, mentre tutte le altre fasi di studio avverranno in condirezione con Paola Salzani, funzionaria archeologa della Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, con il supporto del Soprintendente Vincenzo Tinè (Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza) e della funzionaria archeologa Brunella Bruno, responsabile tutela archeologica Verona città e parte comuni della provincia, di Nicoletta Martinelli e Massimo Saracino, studiosi della Sezione di Preistoria del Museo di Storia Naturale di Verona, Chiara Tomaini, docente di Restauro dell’Istituto Veneto per i Beni Culturali, Cristiano Nicosia, docente di Stratigrafia archeologica e geoarcheologia del Dipartimento di Geoscienze dell’Università degli Studi di Padova, oltre che di Alberto Bentoglio, direttore del Dipartimento di beni culturali e ambientali dell’ateneo milanese.